La poesia delle cose inutili / A tu per tu con il Museo “Ettore Guatelli” di Ozzano Taro

“Quando non ho nulla in tasca / ho la poesia / quando non ho nulla in frigo / ho la poesia / quando non ho nulla nel cuore / non ho nulla”. Sono parole del poeta iraniano Abbas Kiarostami e dicono bene ciò che la poesia, per noi mediterranei, è già nella sua radice, il greco “poièin”: un modo per “fare qualcosa” quando tutto sembra mancare, utilizzando al meglio ciò che si ha, con l'aiuto dell’immaginazione.

Qualcosa di simile deve aver fatto l’ignoto creatore di questo trattore-giocattolo, ricavato dall’assemblaggio di due pezzetti di legno, un barattolo di conserva, qualche scatoletta di lucido da scarpe, un tappo di bottiglia e un rocchetto senza più filo. È solo uno dei 60.000 oggetti raccolti da Ettore Guatelli nella casa-museo che porta il suo nome, ma parla per tutti, proprio come fa una poesia ben scritta.

Foto > Fondazione Museo Ettore Guatelli, Ozzano Taro (Parma) - Trattore-giocattolo costruito con materiale di recupero (secolo XX) - foto di Mauro Davoli 

Il Museo Guatelli si trova nel podere Bella Foglia, a Ozzano Taro, sulle colline parmensi, ed è il frutto di una storia che con la poesia ha molto a che fare. Nato a Collecchio nel 1921, Ettore deve fare i conti fin da piccolo con una malattia che lo tiene lontano dai lavori di campagna. Negli anni Quaranta, mentre è in ospedale, conosce il poeta Attilio Bertolucci e i due fanno un patto: Guatelli scrive a macchina i testi di Bertolucci, che in cambio lo aiuta a superare l’esame per diventare maestro elementare.

Qualche tempo dopo, ascoltando le storie di vita dei suoi piccoli alunni e i racconti di lavoro di contadini e artigiani incontrati in sanatorio, nel giovane insegnante nasce l’idea di raccogliere gli oggetti che documentano “le condizioni e l’ingegno della gente di Appennino” (parole sue). Così, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, quando in campagna si butta via tutto ciò che sa di antiquato per stare al passo della modernità, Guatelli diventa famoso tra i robivecchi come “il tizio che prende su tutto” (dove “prendere su” sta per “raccogliere”).
“Tutti sono capaci di fare un museo con le cose belle, più difficile è crearne uno bello con le cose umili come le mie”: dirà così, il maestro-raccoglitore, quando la sua casa diventa un piccolo “Louvre contadino” che attira visionari e conoscitori del calibro di Werner Herzog e Federico Zeri.

“Il museo è qui” avverte ancora oggi un cartello sulla vecchia porta di legno e, una volta entrati, la vertigine del tempo ti cattura, dallo scalone tappezzato di contenitori in legno alla grande sala affrescata di pinze, martelli, chiavi e altri utensili, fino alle singole stanze dedicate alla magia povera delle scatole in latta, delle scarpe, dei vetri, degli orologi, dei giocattoli...
Non ci sono teche, in questo museo, ogni cosa è a portata di mano e chiede di essere presa, toccata, soppesata, messa alla prova. Compreso l’ingegnoso trattorino “Frankenstein” che, dopo la gioia dei piccoli per cui fu costruito, ha fatto la felicità di chi l’ha raccolto e salvato dalla discarica. Perché negli occhi dei bambini intenti al gioco si può specchiare il sogno del collezionista, e persino quello del poeta: liberare le cose, insieme alle parole, dalla schiavitù di essere utili.

Per saperne di più e progettare una visita alla Fondazione Museo Ettore Guatelli c’è PatER - Catalogo regionale del Patrimonio culturale.


Foto > Fondazione Museo Ettore Guatelli, Ozzano Taro (Parma) - Trattore-giocattolo costruito con materiale di recupero (secolo XX) - foto di Mauro Davoli

Per approfondire si può leggere il libro “La coda della gatta. Scritti di Ettore Guatelli: il suo museo, i suoi racconti. 1948-1999”, a cura di Vittorio Ferorelli e Flavio Niccoli (Bologna, Istituto per i beni artistici culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna, 1999), e ascoltarne i brani proposti in due puntate della rubrica “Racconti d’autore” di RadioEmiliaRomagna: prima puntata; seconda puntata.


L’autore del testo ha verificato per quanto possibile le fonti documentarie e i crediti iconografici utilizzati; eventuali modifiche e integrazioni possono essere richieste contattandolo:

Vittorio Ferorelli

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